I POTERI DELL’ASSEMBLEA SOCIETARIA IN SEDE DI APPROVAZIONE DEL BILANCIO.

I POTERI DELL’ASSEMBLEA SOCIETARIA IN SEDE DI APPROVAZIONE DEL BILANCIO.

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L’assemblea può  modificare il bilancio proposto dagli amministratori o debba, invece, limitarsi ad approvarlo o respingerlo ?

La deliberazione assembleare si pone come atto finale di un procedimento complesso (bilancio) nel cui ambito, vero è l’assemblea non è vincolata a contenuti predeterminati, ma alternato vero è che  l’assemblea in forza dell’art. 2364 c.c. (spa) e 2479 c.c. (S.r.l.) può solo limitarsi ad approvarlo o respingerlo, per quel che si dirà, il tutto supportato da giurisprudenza ( ex multis Ord. Trib. Palermo del 10.4.2000).

Nel caso fosse possibile per l’assemblea modificare il progetto di bilancio si determinerebbero  numerose incongruenze. Problemi si potrebbero porre in relazione alla nota integrativa, prevista dall’art. 2427 c.c., che è, e rimane, atto degli amministratori; ammettendo infatti che l’assemblea modifichi lo schema di bilancio, si verrebbe a determinare una grave dissonanza fra bilancio e nota integrativa e lo stesso dicasi per la relazione del Collegio Sindacale a Revisore Unico. Problemi, inoltre, si verrebbero ad arrecare al diritto alla corretta informazione dei soci .

Si riporta quando statuito dal Trib. Palermo del 10.4.2000

Con l’atto introduttivo citato, su cui si è incentrato dapprima il ricorso ex art. 2378 c.c., conclusosi col decreto impugnato, e poi il presente procedimento di reclamo (sulla cui ammissibilità, ex art. 669quaterdecies c.p.c. è ormai costante la giurisprudenza tanto di merito che di legittimità – cfr., tra le altre, Cassazione civ. 10172/93; Tribunale Catania, 12 agosto 1997; Tribunale Milano, 31 ottobre 1995 – stante la natura certamente cautelare che informa il subprocedimento di che trattasi), gli attori (odierni reclamanti) hanno chiesto dichiarare la nullità del verbale notarile, per la parte in cui il notaio, dopo avere dato atto dell’avvenuta chiusura dell’assemblea presieduta dalla Prof. XXXXXX, ha proseguito la verbalizzazione di una sedicente prosecuzione di riunione assembleare (…); dichiarare la giuridica inesistenza o la nullità e comunque annullare le deliberazioni tutte assunte dai soci nel corso della predetta prosecuzione di riunione assembleare; in via subordinata, dichiarare che i soci presenti o rappresentati nella predetta prosecuzione di riunione assembleare hanno illegittimamente apportato molteplici e sensibili modificazioni al bilancio predisposto dagli amministratori. Tali conclusioni, peraltro, sono le uniche cui dover fare riferimento in questa sede, non potendo il Decidente anticipare, non conoscendole, le ulteriori “strategie processuali” delle parti, segnatamente quelle derivante dalla previsione normativa dell’art. 183 c.p.c. (richiamato dai reclamanti), che consente la emendatio libelli e la proposizione di quelle domande scaturenti dalle difese di controparte. Né dalla parte motiva dell’atto di citazione riesce a ricavarsi di più, considerando soprattutto che l’impugnazione di una deliberazione societaria esige la specifica deduzione delle ragioni di nullità che si ritiene la inficino, in modo che la materia del contendere risulti precisamente definita, in relazione sia alla delimitazione dell’ambito entro e non oltre il quale devono esercitarsi i poteri decisori del giudice, sia al rispetto del principio del contraddittorio (cfr. Cassazione civile sez. I, 29 aprile 1994, n° 4177). Quindi non può trovare accoglimento, ché anzi è da qualificare inammissibile, la doglianza afferente la “deliberazione” di sostituzione del Presidente dell’assemblea, poiché non oggetto di apposita impugnativa; né essa può ritenersi ricompresa nella ben più generica richiesta di declaratoria di nullità del verbale notarile, che – se del caso, per le specifiche argomentazioni addotte dagli attori, laddove si dolgono dell’operato del notaio rogante – andrebbe semmai ricondotta nell’ambito della querela di falso. E’ allora evidente che il Collegio non può pronunciarsi, per il precetto dell’art. 112 c.p.c., e per il nesso di strumentalità che connota qualsivoglia mezzo cautelare, sulla annullabilità, e quindi sulla sospensione della esecutività, delle deliberazioni assunte in costanza della Presidenza , anzi, proprio sulla deliberazione (rectius, designazione, a mente del disposto dell’art. 2371 c.c.) con cui l’Assemblea ha nominato un nuovo Presidente del consesso; detta deliberazione, infatti, non si può ritenere investita da uno specifico motivo di impugnazione, di cui non vi è traccia non solo nelle richiamate conclusioni, ma, come detto, nella stessa parte motiva dell’atto introduttivo. Ciò in quanto provvedimenti cautelari mirano ad assicurare l’effettività della tutela giurisdizionale tramite la neutralizzazione del pregiudizio (non necessariamente irreparabile, ma comunque grave) che può derivare all’attore dalla (o anche dalla) durata del processo. Caratteristiche precipue di tali provvedimenti attengono alla struttura, per l’emanazione in base ad una cognizione sommaria, la provvisorietà, da intendere quale inidoneità a dettare una disciplina definitiva rispetto al rapporto dedotto in giudizio, e, per quanto detto, alla rigida strumentalità rispetto agli effetti cui tende il giudizio a cognizione piena.

Dunque, le doglianze sulla irregolare costituzione dell’assemblea descritta “in prosecuzione” (e cioè quella presieduta dal socio XXXXXX) dagli attori, non possono sganciarsi dalla necessaria premessa, e cioè che si chieda dichiararsi l’invalidità (se del caso) della deliberazione di sostituzione del Presidente : declaratoria, tuttavia, non chiesta nel giudizio di merito.

E non potendosi soffermare sulle numerose questioni prospettate dalle parti sulla legittimità o meno dell’operato dell’assemblea (anzi, della maggioranza assembleare) che ha provveduto alla “sostituzione” del Presidente, per quanto sin qui detto, la disamina ex art. 2378 IV comma c.c. deve necessariamente arrestarsi sulle deliberazioni adottate nella seduta del 20.12.1999 e oggetto di specifica impugnativa : ovvero, soltanto la deliberazione di approvazione del bilancio relativo all’esercizio sociale 1998 – come da domanda subordinata proposta in citazione -, rimanendo invece prive di apposite censure (quindi, di impugnazione) le altre deliberazioni (per tutte, quella di nomina di nuovi amministratori, sulla quale nessuna doglianza vi è in citazione).

Considerato che l’ordinanza richiesta ha, come detto, natura e carattere tipicamente e meramente cautelare, essendo volta esclusivamente, nella ritenuta ricorrenza di gravi motivi, ad evitare che durante il tempo necessario per lo svolgimento del processo di opposizione alla delibera, l’esecuzione di questa possa provocare pregiudizi irreversibili alla società, non eliminabili nell’ipotesi di invalidazione della delibera stessa (Cassazione civ. 10172/93), il sindacato del Giudice deve intanto attardarsi sulla ricorrenza o meno (pur nella sommarietà della cognizione propria di tale fase interinale) dei vizi che possano condurre alla sanzione della nullità; vizi che dai reclamanti vengono ricondotti, da un canto, alla approvazione di un bilancio sensibilmente modificato dall’assemblea, rispetto al progetto predisposto dagli amministratori; nonché per le singole poste modificate e il risultato complessivo, tacciate di falsità e di violazione delle regole codicistiche di redazione del documento contabile.

In definitiva, due doglianze vengono prospettate : la prima, di metodo, sull’iter di approvazione del bilancio, non essendosi l’assemblea limitata ad approvare o respingere il progetto predisposto dagli amministratore, ma avendo approvato il bilancio nel testo da essa stessa modificato. La seconda, di sostanza, per il risultato complessivo, che ha comportato una diminuzione delle perdite – per quanto di seguito esposto – di rilevante incidenza; e, perciò, viene chiesta declaratoria di nullità.

Su quest’ultima, va detto che essa rappresenta la sanzione tipica prevista dal legislatore per le deliberazioni societarie aventi ad oggetto l’approvazione del progetto di bilancio, ex art. 2379 c.c. (deliberazioni nulle per illiceità o impossibilità dell’oggetto), atteso che il bilancio rappresenta la “fotografia” che rende la situazione patrimoniale-contabile della società conoscibile ai soci ad ai terzi, a tutela dei quali sono poste le norme che presidiano le modalità di effettuazione della “ripresa fotografica”, rectius della redazione del bilancio.

Tali norme hanno ricevuto significativa modificazione col D.Lgvo 9 aprile 1991 n° 127 – emanato in attuazione della IV e della VII direttiva CEE, dei 25 luglio 1978 (n° 78/660) e 13 giugno 1983 (n° 83/349), ai sensi della legge delega 26 marzo 1990 n° 69 -, divenendo ancor più dettagliata l’individuazione di ogni singola voce che costituisce il documento contabile, e da ciò derivando, per la più recente giurisprudenza (tra le altre, vedesi Cassazione civile sez. I, 8.8.1997 n° 7398), una netta autonomia tra i principi di chiarezza e verità del bilancio, rispetto al passato, allorquando il primo veniva inteso quale violazione delle norme di redazione solo se comportava una cesura tra dato rappresentato e dato effettivo, cioè qualora restava intaccato il principio di verità.

L’art. 2423 c.c., nel testo scaturente dalla nuova normativa, prevede che gli amministratori debbano redigere il bilancio di esercizio, costituito dallo stato patrimoniale, dal conto economico e dalla nota integrativa; rispetto alle previgenti norme, bilancio e conto dei profitti e delle perdite non costituiscono più due documenti distinti : il conto dei profitti e delle perdite scompare, sostituito dal conto economico, mentre il bilancio di esercizio diventa un documento complesso, costituito dallo stato patrimoniale (il “vecchio” bilancio), dal conto economico e dalla nota integrativa. In tal modo, da una descrizione “statica” della contabilità sociale, si passa ad una “dinamica”, con la descrizione di una serie di avvenimenti, ovvero le entrate e le uscite che nel corso dell’esercizio hanno intaccato – o incrementato – il patrimonio della società. In particolare, con la nota integrativa, il cui contenuto è prescritto dall’art. 2427 c.c., i redattori del bilancio, ovvero gli amministratori, dovranno specificare i criteri seguito nella valutazione delle varie categorie di beni, le eventuali modifiche rispetto al precedente bilancio, nonché i criteri seguiti per gli ammortamenti e gli accantonamenti. Come è evidente, una congerie non indifferente di disposizioni, dalla cui osservanza dipende l’effettiva tutela dell’integrità del patrimonio, e la trasparenza delle informazioni sulla reale consistenza della società rilevanti per i creditori ed i terzi in genere.

Con la conseguenza che l’eventuale contenuto non conforme al modello legale (secondo la prospettazione attorea) ne comporta l’illiceità dell’oggetto, e, conseguentemente, l’applicazione della sanzione della nullità, ex art. 2379 c.c..

Ciò in quanto per le società (ribaltando il criterio che informa i contratti in genere) il codice civile del 1942 ha aggiunto all’azione generale di annullamento (art. 2377 c.c.) l’azione di nullità (art. 2379), per espressamente limitarla ai tassativi casi di impossibilità e di illiceità dell’oggetto, ossia – come precisato dal Supremo Collegio con la pronuncia 906/79 – a casi “in cui le deliberazioni abbiano, in una relazione di alterità, rilevanza ed incidenza esterna, nelle sfere giuridiche dei terzi” ed il vizio attenga al “contenuto sostanziale della deliberazione”.

Riguardo alla categoria della illiceità dell’oggetto, va puntualizzato che siffatta ipotesi ricorre solo quando il contenuto della deliberazione contrasta con norme dettate a tutela di interessi generali, che trascendono l’interesse del singolo socio o di gruppi di soci, e “dirette ad impedire deviazioni dallo scopo economico pratico del rapporto di società” (cfr. Cass. 906/79, citata). Tutti gli altri vizi, “considerati nella loro astratta portata giuridica, non rientrano nella ridottissima categoria di deliberazioni nulle previste dall’art. 2379 c.c.” (così Cass. 2263/70) e sono, invece, riconducibili nello schema dell’annullabilità, anche quando l’oggetto sia in contrasto con norme che, seppure cogenti, siano “ispirate esclusivamente alla tutela degli interessi dei singoli soci o di gruppi di soci” (Cass. 1032/72).

Per quanto detto, mette conto evidenziare i principi di diritto enucleati dalla giurisprudenza più recente in ordine alla nozione ed alla portata dei criteri di chiarezza, precisione e verità, imposti dagli art. 2423 ss. c.c. per la redazione del bilancio e dei relativi allegati, nonché in ordine alle conseguenze derivanti dalla loro inosservanza. Per il Supremo Collegio, la delibera assembleare di una società di capitali, con la quale sia stato approvato un bilancio non conforme ai precetti stabiliti dall’art. 2423 c.c. o in violazione delle norme dettate dagli articoli successivi, che di tali precetti sono espressione, è appunto da ritenersi nulla per illiceità dell’oggetto, ai sensi dell’art. 2379 c.c. (ex plurimis, Cass. 6834/94; 3132/92; 3881/88): si è visto, infatti, come i principi di chiarezza e precisione del bilancio siano posti a tutela di un interesse anche esterno alla compagine sociale, a che non vi siano incertezze od erronee convinzioni sulla reale situazione economico-patrimoniale della società.

L’illiceità va ravvisata non soltanto quando la violazione di tali principi (indicati, nell’attuale formulazione dell’art. 2423 c.c., nella chiarezza e nel modo veritiero e corretto di redazione del bilancio) comporti una netta cesura tra il dato rappresentato e l’effettivo risultato dell’esercizio, ma anche in tutte le ipotesi in cui dal bilancio medesimo, ovvero dalla nota integrativa e dalla relazione allegati, non risulti quel complesso di informazioni che la legge richiede con riguardo alle singole voci o poste.

Dunque, è sufficiente a produrre la nullità della deliberazione “qualsiasi difformità dal modello legale di bilancio”, anche qualora questa non si traduca in una sostanziale violazione del principio di verità, in funzione del quale è predisposto lo “schema analitico minimo” prescritto dall’art. 2424 c.c. (cfr. sul punto Cass. 1839/86).

Date tali necessarie premesse, e venendo al caso di specie, quanto alla doglianza sul metodo, l’iter procedimentale voluto dal legislatore per l’approvazione del bilancio prevede (artt. 2429 c.c.) uno schema con diverse scansioni temporali, rappresentate : dalla comunicazione del (progetto di) bilancio e della relazione sulla gestione (prescritta dall’art. 2428 c.c.), almeno trenta giorni prima di quello fissato per la discussione assembleare; dal deposito di copia del bilancio, con le relazioni di amministratori e sindaci, presso la sede della società, per almeno 15 giorni antecedenti la data dell’assemblea; ed infine, l’approvazione da parte dell’assemblea, e il successivo deposito ex art. 2435 c.c.. Risulta tale iter rispettato, laddove l’assemblea non si limiti all’approvazione o al rigetto del progetto di bilancio predisposto, ma apporti delle (consistenti) modifiche allo stesso.

Secondo la tesi prospettata dai resistenti, segnatamente dalla società convenuta, in linea con buona parte della dottrina (condivisa nel provvedimento impugnato), esaurendosi la competenza degli amministratori in un atto propositivo (il progetto di bilancio, appunto), la deliberazione si pone come l’atto finale di un procedimento complesso, e gli effetti definitivi si ricollegano tutti all’atto finale che è la deliberazione assembleare : e perciò l’assemblea non sarebbe vincolata a contenuti predeterminati, ben potendo modificare il progetto di bilancio, approvando un testo difforme da quello redatto dagli amministratori.

Tale suggestiva tesi (che da un punto di vista teorico può risultare appagante) trae spunto dall’ampiezza di poteri che comunque il legislatore riconosce all’organo sovrano della società, ovvero l’assemblea; e ad essa potrebbe effettivamente accedersi non tanto avendo di mira un riparto di competenze tra assemblea e organo amministrativo, ma soprattutto con riferimento alle finalità perseguite dal legislatore. Se si ritiene che la redazione del bilancio deve perseguire dei fini determinati dalla legge, non manipolabili in funzione di concrete scelte di gestione, non vi sarebbe ragione per negare all’assemblea il potere di intervenire direttamente sul progetto di bilancio.

Ciò, tuttavia comporta delle incongruenze non di poco conto, che pure si riscontrano nel caso in esame.

Si pensi, ad esempio, che una modificazione da parte dell’assemblea di quello che è un mero progetto non può estendersi alla modifica di un altro atto, che invece è e rimane degli amministratori, quale è la nota integrativa, prevista dall’art. 2427 c.c..

In sostanza, ammettendo la modificabilità dello schema di bilancio da parte dell’assemblea, rimanendo immutati gli altri documenti, si avrebbe un disallineamento rilevante tra nota integrativa e bilancio, a scapito (quantomeno) del già evidenziato principio di chiarezza; senza considerare l’inscindibilità dei documenti supra citati, che solo unitamente considerati consentono di offrire un quadro della situazione patrimoniale della società esaustivo, nei termini indicati dal legislatore.

E ancora, deve ricordarsi il disposto dell’art. 2364 c.c., laddove tra i poteri dell’assemblea, segnala quello della mera “approvazione” del bilancio, mentre il previgente codice di commercio, all’art. 154 indicava, tra i compiti assembleari, quello di “discutere, approvare o modificare” il bilancio.

Intaccando l’iter normativamente prescritto per l’approvazione del bilancio, potrebbe risultare violato, inoltre, il diritto alla corretta informazione dei soci, segnatamente quelli non presenti all’assemblea, cui sarebbe preclusa la possibilità di prendere visione dello schema di bilancio e degli allegati, e potrebbero ritrovarsi con un bilancio approvato, con poste diverse da quelle contemplate negli altri documenti.

Né può risultare soddisfacente da solo, per il caso della XXXXXXX s.r.l., il generico mandato conferito dall’assemblea, agli amministratori di apportare “tutte le conseguenti modifiche agli allegati al bilancio” : infatti, intanto, e finché gli amministratori non adempiano, rimane la discrasia tra dato approvato e documenti allegati, che potrebbe condurre, in mancanza di tale adempimento, alla violazione dei principi di chiarezza e verità, dei quali è corollario quello di correttezza. Non va dimenticato, infatti, da una canto che la chiarezza non riguarda solo le informazioni principali, obbligatorie e/o complementari indicate dal III comma dell’art. 2423 c.c., ma è un requisito di qualità da riferire a tutto il bilancio, nel suo complesso, ed in particolare alla nota integrativa; in più, che il legislatore ha affidato alla nota integrativa il compito di illustrare i movimenti delle diverse poste di bilancio, la composizione delle diverse voci, le variazioni intervenute (etc.); così, una rappresentazione nella nota integrativa di tutti gli elementi citati, se non corretta, anche nel senso della conformità al dato contabile inserito nel bilancio, determina (finché non divenga oggetto di apposito intervento dell’organo amministrativo, che in ipotesi potrebbe pure restare inerte) una rappresentazione non veritiera.

Tuttavia, è da rilevare che tale ultimo aspetto potrebbe assumere rilievo solo all’esito del complesso iter, segnatamente al momento della pubblicazione del bilancio nel bollettino. In altri termini, tale discostamento dovrà formare oggetto di verifica al momento del deposito presso l’Ufficio del Registro delle Imprese; nelle more di esso, nei tempi prescritti dall’art. 2435 c.c., nulla impedisce che gli amministratori apportino le dovute correzioni alla nota integrativa. Tale ultimo aspetto, ovvero la rilevanza di eventuali discrasie, però, non forma oggetto di specifica doglianza dei reclamanti, e perciò diventa ininfluente.

Tornando al dato positivo, può dunque sostenersi che : gli amministratori redigono il bilancio (anzi, devono redigerlo : art. 2423 c.c.); i sindaci accertano la corrispondenza del bilancio alle scritture contabili (art. 2403 c.c.); l’assemblea approva (o non approva) il bilancio. Tant’è che il Supremo Collegio (a Sezioni Unite : sentenza 21 febbraio 2000 n° 27) ha sostenuto che quello di redigere il bilancio con chiarezza è un obbligo legale della società, e per essa degli amministratori.

Quali, allora, le conseguenze in caso di discostamento da tale iter, che è poi l’oggetto della censura ‘ Nella misura in cui è stato leso il diritto alla informazione del socio, potrebbe venire in rilievo esclusivamente la annullabilità del bilancio, rimanendo estraneo – per ciò solo – ogni profilo di illiceità dell’oggetto della deliberazione.

Quanto alla violazione dei precetti imposti dal legislatore sulla redazione del bilancio, (venendo in tal modo alle censure sulle correzioni apportate dall’assemblea al progetto di bilancio), in effetti i soci presenti alla “seconda” fase dell’assemblea hanno modificato il risultato d’esercizio con un cospicuo taglio alla voce “Compensi agli amministratori”, atteso che – con precedente deliberazione, in seno alla medesima assemblea – era stata deliberata una considerevole diminuzione del detto compenso. Contemporaneamente, l’assemblea ha provveduto a modificare la relativa voce di bilancio (rectius, del conto economico) “Costi della produzione – per servizi”, con una diminuzione di Lire 257.966.834, appunto perché detto costo non poteva ritenersi sussistente.

Contrariamente all’assunto dei reclamanti, però, dell’esborso delle somme (effettivamente corrisposte, anzi trattenute dai precedenti amministratori), vi è piena traccia nel documento contabile : correttamente, infatti (secondo i principi contabili che pure debbono connotare la redazione del bilancio), viene inserito il relativo importo (seppur per una cifra di poco differente, ovvero Lire 262.364.267) nello stato patrimoniale, sub “Attivo Circolante”, voce “Crediti verso altri – oltre 12 mesi”. E pure correttamente la posta decurtata dal Conto economico, e inserita quale credito, si riferisce esclusivamente alla porzione di compenso trattenuta dagli amministratori per il periodo contabile in esame, ovvero dal 1° gennaio 1998, mentre viene considerata quale sopravvenienza quell’altra parte (pure da recuperare) afferente il periodo novembre-dicembre 1998.

Diversamente è dirsi per il parimenti invocato principio di prudenza, che avrebbe dovuto far inserire (almeno) una parte del credito in un apposito fondo rischi, per l’ipotesi di infruttuoso recupero, in base alla previsione dell’art. 2423bis n° 1 c.c..

Ora, presupposto idoneo e sufficiente per l’iscrizione in bilancio è il fatto giuridico produttivo della modificazione del patrimonio sociale – nel caso in esame la delibera di determinazione dei (diversi) compensi agli amministratori – sicché la natura (asseritamene) controversa di un credito (come di un debito) non ha rilievo in ordine alla menzione di esso nel relativo bilancio; semmai, in osservanza del principio di prudenza, il redattore deve tener conto di qualunque alea che si presenti con probabilità di avveramento entro un tempo che ragionevolmente metta in pericolo la consistenza sociale di esercizio.

Il principio in esame, oltre ad ispirare sostanzialmente le regole di valutazione ex art. 2426 c.c., si pone su un piano generale come strumento idoneo a mitigare il principio di verità; così, con la migliore dottrina, nel caso in cui una voce appaia suscettibile di valutazioni diverse la prudenza imporrà se si tratta di voci dell’attivo, di scriverle per la valutazione più bassa, se si tratta di voci del passivo, per la valutazione più alta.

Allora, certamente il non iscrivere probabili perdite in bilancio o occultarle attraverso compensazione con crediti vantati dalla società contrasta con l’indicato principio di prudenza; e, come è stato rilevato in dottrina, fino a che l’utile o il credito non è sicuramente conseguito ma soltanto sperato o “atteso” esso non deve emergere dal bilancio. Mentre, al contrario, deve tenersene conto quando esso è certo, come nel caso di specie (derivando da uno specifico quanto efficace deliberato assembleare), salva la creazione di un apposito fondo rischi, in cui inserire, quale presumibile perdita, una porzione di tale ammontare, per il l’ipotesi che non si riesca a recuperarlo per l’intero.

Tuttavia, tale ultimo aspetto, se rientrante nel principio di prudenza, non può, ove disatteso come nel caso di specie, intaccare il bilancio nel senso indicato dai reclamanti, ma deve valutarsi con riferimento al singolo caso concreto. In altri termini, dolersi della mancata appostazione di un fondo rischi non è sufficienti per far ritenere violato il principio di prudenza, e per esso quello di correttezza delle appostazioni, ma deve essere supportato da concreti elementi per suffragare la verosimile irrecuperabilità del credito, allo stato solo affermati. In mancanza, rimane una mera irregolarità, non suscettibile, ex se, di travolgere il bilancio; su di essa perciò potrà compiutamente pronunciarsi il Giudice del merito, che deciderà a cognizione piena.

Ritornando alla disamina della deliberazione del 20.12.1999, con tale operazione sul bilancio, la compagine assembleare, prendendo atto dell’avvenuto versamento da parte di taluni soci di rilevanti somme in favore della società (anticipazioni in conto capitale), evidenzia altresì che non risultano perdite tali da comportare l’adozione dei provvedimenti di cui all’art. 2447 c.c. : dunque, nessuna statuizione è da adottare, almeno in questa fase interinale, non essendovi sul punto nessuna specifica deliberazione.

Da questa breve disamina dell’iter di approvazione del bilancio, è evidente (pur in tale fase a cognitio limitata) che non risulta affatto la violazione dei precetti di chiarezza e verità del bilancio in esame : l’ammontare relativo alla riduzione del compenso agli amministratori risulta inserita tra i crediti della società nello stato patrimoniale, di guisa che nessuna falsa rappresentazione sussiste.

In definitiva, l’alterazione della indicata voce per un ammontare che incide sulle perdite diminuendole di oltre 250.000.000 di Lire appare giustificata, non risulta ledere gli interessi tutelati dai precetti normativi in tema di bilancio, e correttamente compensata dalla appostazione nello stato patrimoniale.

Quanto al particolare iter seguito, questo allo stato non pare integrare gli estremi per una declaratoria di invalidità della deliberazione in esame, almeno in punto di nullità.

E comunque, anche volendosi considerare violato il principio di prudenza (nei termini di cui supra), è da considerare che la sussistenza dei gravi motivi per la sospensione della esecutività della deliberazione, che derivano dalla stessa natura della deliberazione approvativa del bilancio, necessita di una valutazione da effettuarsi in un ottica comparativa (costi/benefici) delle diverse esigenze che vengono in rilievo, con stima complessiva dei contrapposti interessi delle parti in conflitto ed anche esterni alla società. Non venendo allora in rilievo una consistente alterazione del dato contabile, non può dirsi concretamente intaccato l’interesse dei terzi e dei creditori della società, la cui posizione non è pregiudicata dalla esecutività della delibera stessa.

Per quanto sin qui esposto, rimanendo prive di adeguato riscontro le censure sulla delibera di approvazione del bilancio in seno alla assemblea della XXXXXXXXXX s.r.l. del 20.12.1998, il reclamo va rigettato, con la conferma dell’impugnato decreto.

 

 

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